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Stefano Zecchi, Il Giornale, 5/8/10 PDF Stampa E-mail
I risultati dell’esame Invalsi proposto agli alunni di terza media (e uguale per tutti) ribaltano quelli della maturità. Il divario resta ma qualcosa si muove

 

Difficile avere una scuola che sia uniforme, che risponda agli stessi requisiti di qualità in ogni angolo del Paese. In qualunque Nazione occidentale le disparità sono evidenti, tant’è vero che si cerca di studiare – quando le condizioni economiche e familiari lo rendano possibile – dove lo si può fare meglio. Ma durante gli studi medi e superiori si rimane vicini a casa con i relativi vantaggi e svantaggi.
Ora c’è semplicemente da chiedersi il perché gli studenti del Sud debbano studiare peggio di quelli del Nord. Le statistiche che possediamo sono oggettive e smascherano anche un comportamento inaccettabile: dei docenti, non degli studenti.

Se analizziamo i dati relativi alla maturità di quest’anno, ecco emergere il giovane meridionale che ha voti migliori del compagno settentrionale. Se invece osserviamo i dati forniti dalla prova cosiddetta Invalsi, la situazione è completamente rovesciata: più bravi sono i giovani del Nord.

Mentre i voti vengono assegnati dagli insegnanti secondo una personale valutazione, la prova Invalsi è non solo oggettiva – cioè indipendente dai criteri del professore – ma anche uniforme, perché è la stessa su tutto il territorio nazionale. Evidente constatazione: i professori che insegnano al Sud sono di manica larga, meno preoccupati di far raggiungere ai propri allievi buoni risultati.
Perché, torno a chiedere, i giovani del Sud devono partire svantaggiati rispetto a quelli del Nord fin dai banchi di scuola?
Ammettiamo pure che nel Meridione ci siano situazioni di disagio – diciamo con un eufemismo – ambientale, che incidono sulla resa scolastica. Vorrei però che qualcuno chiedesse a un insegnante di scuola media di Milano quanta fatica debba fare per integrare nella sua classe gli extracomunitari, che sono anch’essi tenuti a sostenere la prova Invalsi e quindi rientrano con i loro test nella valutazione complessiva. Dunque, se al Sud ci sono problemi «ambientali», al Nord i professori si devono misurare con i ragazzi extracomunitari.

I dati statistici ci dicono in modo impietoso che gli insegnati meridionali risolvono le questioni relative alla qualità dell’apprendimento dando voti alti. Gli studenti potrebbero anche essere contenti, ma in realtà vengono penalizzati. Certo, non per colpa loro. Il problema sono gli insegnanti. Il problema è il modo in cui viene formata e selezionata la classe docente.

Non esiste scuola di formazione per gli insegnanti. Ci si laurea e poi si fanno domande a tappeto per venire chiamati come supplenti. E qui incomincia un’indecorosa trafila. Tutto è lasciato in mano ai presidi, ai Provveditorati, ai sindacati. Dovrebbero esserci i concorsi: l’ultimo è stato indetto dieci anni fa, e il precedente una ventina di anni fa.

Ogni passo del cammino dalla laurea all’insegnamento è rigidamente sindacalizzato, per cui il merito va a farsi benedire: si va avanti con punteggi relativi ai giorni e agli anni di supplenza prestata. E intanto si aspetta la leggina per passare di ruolo senza verifica di capacità didattiche e cultura.

Gli stipendi dei docenti sono bassissimi, i più bassi in Europa a gara con Portogallo e Grecia. Chi trova di meglio che insegnare – chi è più fortunato e ha più fantasia – non entra in una scuola. Quindi abbiamo pochi docenti bravi, che il più delle volte sono giovani ancora entusiasti e che si dedicano con passione al loro lavoro. La maggior parte è svogliata ed entra in classe come se dovesse andare dal dentista.

C’è da chiedersi: se questa è la realtà, perché c’è differenza tra Nord e Sud? La differenza c’è perché il docente è il risultato di una filiera: ha già lui studiato male nelle scuole, è inevitabile che a scuola insegnerà male, e per non crearsi grattacapi maggiori di quelli che ha già non pretenderà dagli allievi quella qualità che molto probabilmente gli manca.

Finché le città del Nord manterranno una qualche tensione competitiva all’interno del mercato del lavoro, e finché le famiglie settentrionali avranno l’ambizione che i propri figli siano competitivi, si eserciterà un controllo sociale e famigliare sulla qualità del servizio scolastico. Se questo sciaguratamente verrà a mancare, assisteremo alla meridionalizzazione della scuola italiana.

Tuttavia non è difficile invertire la tendenza: sarebbe sufficiente valorizzare gli insegnanti selezionandoli periodicamente, premiando chi merita, anche sul piano economico, così da rendere una professione tanto delicata, importante (e bella) degna di una Paese che si preoccupa davvero del futuro dei propri figli sempre più messi alla prova dalla competizione internazionale. E non sarebbe male ricordare che quanto più la scuola possiede livelli di qualità omogenei, tanto più la Nazione è unita.

 

RISPOSTA (PUBBLICATA DA “IL GIORNALE” del 12/8/10)

Scuola, Sud, Nord e luoghi comuni

Nell’articolo del prof. Stefano Zecchi (generalmente obiettivo e puntuale) sul “trucco dei voti alti al Sud” agli ultimi esami di stato, si potrebbero evidenziare alcune contraddizioni e diversi luoghi comuni. Da anni, ormai, siamo abituati a leggere statistiche che dimostrerebbero lo scarso livello di preparazione (o addirittura la predisposizione a “imbrogli e truffe”) di docenti e alunni del Sud. In questo caso si trattava di censurare le percentuali di voti alti attribuiti ai candidati meridionali. Zecchi confronta questi dati con quelli “oggettivi, uniformi e nazionali” delle prove Invalsi per la scuola media inferiore per arrivare alla conclusione, in sostanza, che si tratta di un “trucco” dei soliti meridionali, conseguenza della scarsa qualità della preparazione ricevuta nelle loro scuole. Condivisibili (insegno da oltre 20 anni) le osservazioni relative alla necessità di una vera formazione, di una selezione adeguata e di stipendi che siano finalmente dignitosi, ma il ragionamento non quadra per due-tre motivi. La formazione-selezione degli insegnanti del Sud è la stessa di quelli del Nord. Si insiste, poi, sull’oggettività quasi sacrale dei test Invalsi ma il prof. Zecchi li ha mai letti? Le perplessità non mancherebbero, credo, come dimostrano anche le recenti osservazioni di illustri esperti del settore (Giorgio Israel in testa): Zecchi è davvero convinto che si possano utilizzare criteri giacobinamente “oggettivi e universali” per valutare ragazzi di Tunisi, di Parigi o di Scampia? E se è vero che i docenti meridionali non sono così preparati, perché (dopo il loro percorso di studi realizzato nell’ex Regno delle Due Sicilie), una volta trasferiti al Nord (tutti sanno -e spesso si lamentano- della presenza massiccia di “terroni” emigrati nelle scuole nordiche) diventerebbero più bravi e più esigenti solo respirando l’aria di Milano? Condivisibili, ovviamente, anche le conclusioni di Zecchi sull’urgenza di livelli omogenei della nostra scuola se vogliamo veramente una nazione unita dopo 150 anni, ma non è con i luoghi comuni e con le statistiche di oggi e di domani che possiamo raggiungere questi risultati. Forse la ricetta (molto più complessa) potremmo trovarla nella realizzazione di pari condizioni in termini magari di strutture e anche di livelli sociali ed economici tra Sud e Nord e nella risoluzione di questioni meridionali ormai, a quanto pare, dimenticate.

Prof. Gennaro De Crescenzo

Commissione Cultura e Istruzione – Parlamento delle Due Sicilie