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Angelo Panebianco, Corriere, 10/7/2010 PDF Stampa E-mail

 

Vizi e pregiudizi contro lo sviluppo

Le tante bugie tra nord e sud

Non si verrà mai a capo della divisione Nord/Sud se non si aggrediranno certe costruzioni ideologiche che funzionano da schermo, che impediscono di vedere la realtà, e di fatto la legittimano e la perpetuano. Mi riferisco, in primo luogo, a quella «teoria del colonialismo interno» abbeverandosi alla quale sono cresciute intere generazioni di meridionali. È la teoria secondo cui, dall’Unità in poi, il Sud sarebbe stato vittima della colonizzazione, con annesso sfruttamento, del Nord. Come tutte le costruzioni ideologiche, la teoria mescola qualche verità e molte bugie. Essa ha dato luogo a una «sindrome da risarcimento» che ha legittimato per decenni un colossale trasferimento di risorse pubbliche dal Nord al Sud. Poco male se si fosse trattato di una «bugia utile», se fosse servita a colmare il divario, a creare nel Sud le condizioni per uno sviluppo economico auto-sostenuto. Ma quella strada ha portato solo a disastri: dilatazione della intermediazione politica, gonfiamento dei ceti politico- burocratici, parassitismo, corruzione, alimentazione della criminalità. Il contrario di ciò che serve allo sviluppo. Ma, nonostante l’evidenza, teoria del colonialismo interno e sindrome da risarcimento sono tuttora vive, influenzano gli atteggiamenti e i comportamenti di molti meridionali. Quale altra fonte di legittimazione potrebbe avere, ad esempio, la ventilata Lega del Sud? Anche al Nord, naturalmente, abbondano stereotipi e costruzioni ideologiche. Nella diffusa idea che il Sud sia solo una palla al piede per lo sviluppo del Nord convivono verità (sull’oggettivo costo del Sud) e bugie. È falso che il Nord non pagherebbe alti prezzi facendo a meno del Sud. Amputata del Sud, quanto meno, l’Italia subirebbe un drastico declassamento in Europa, cesserebbe di essere uno dei quattro grandi Stati europei. È comunque ovvio che il Nord possiede le carte migliori.

È un’asimmetria di cui le classi dirigenti del Mezzogiorno devono tener conto.
Il Sud ha di fronte due strade: la via «brasiliana» e la via «slovacca». Esistono certe interessanti analogie fra la storia dell’America Latina e quella del Sud d’Italia. Per un lungo periodo, le classi dirigenti latinoamericane coltivarono nei confronti degli Stati Uniti lo stesso atteggiamento di molti meridionali italiani nei confronti del nostro Nord. Attribuendo all’imperialismo yankee la causa del proprio sottosviluppo i latinoamericani si autoassolvevano da ogni responsabilità e, con i loro comportamenti, perpetuavano il sottosviluppo. Poi in alcuni Paesi (Brasile, Cile ed altri), le classi dirigenti si sono rinnovate rimuovendo alcuni degli antichi vizi. Anziché continuare ad imputare ad altri la colpa delle proprie disgrazie hanno inaugurato vere politiche di sviluppo che hanno dato in brevissimo tempo grandi frutti. Abbandonare la sciagurata teoria del colonialismo interno è necessario perché il Sud possa cominciare a seguirne le orme.
In alternativa, il Sud può scegliere la via slovacca. La Slovacchia era la parte più povera della Cecoslovacchia. Gli slovacchi tirarono troppo la corda, pretesero troppe risorse. Minacciarono anche la secessione. I cechi risposero: accomodatevi. E secessione fu. Sarebbe assai più utile per il Sud, e per l’Italia tutta, se il Mezzogiorno (magari sfruttando l’occasione del varo del federalismo fiscale) si decidesse ad imboccare la via brasiliana.

 RISPOSTA n. 1 SEGNALAZIONE n. 1

Ancora bugie tra Nord e Sud

In merito al recente articolo di Angelo Panebianco sulle “tante bugie tra Nord e Sud” (Corriere del 10/7) sono opportune, forse, alcune considerazioni.

Nel testo si fa riferimento alla diffusione di  una “teoria del colonialismo interno” (e di un Sud colonizzato dal Nord) come ad una delle cause del problemi italiani attuali: saremmo curiosi di sapere da Panebianco quali siano i riferimenti utilizzati per sostenere una tesi in grado addirittura “di abbeverare intere generazioni di meridionali” o di condizionare le scelte dei governi nazionali con “colossali trasferimenti di risorse pubbliche dal Nord al Sud”. Quale storico “ufficiale” (ad eccezione di pochi e marginali esempi) ha affermato questa teoria? In quale università o in quale scuola? Senza entrare nel merito di questioni economiche di livello alto, poniamo solo una domanda banale: se fosse vero quanto affermato da Panebianco, come è stato possibile che in questi 150 anni il Nord si è arricchito (nonostante questo continuo “saccheggio” operato dai meridionali) e il Sud si è impoverito (nonostante il continuo “saccheggio” di risorse a suo vantaggio)? Forse è utile rileggere un numero di qualche anno fa della prestigiosa rivista “Nord e Sud” (5/1997). E’ vero che, per esempio, la legge 675 del 1977 o la 46 del 198 finanziarono solo il 10% di imprese meridionali; è vero che per il Fondo per la Ricerca Applicata, relativamente agli anni 1984-1994, per oltre l’88% dei casi, le aziende finanziate erano di proprietà centro-settentrionale. “Da un lato si destinavano fondi alla ricerca per il Sud, con quote prefissate, ed alle piccole e medie imprese e dall’altro si operava di fatto in modo che i benefici ricadessero sempre sui soliti grandi gruppi del Nord o pubblici”. Da certe riletture scopriremmo anche che lo stesso vale per i numeri dell’intervento straordinario per il Meridione d’Italia e l’utilizzo della Cassa del Mezzogiorno, prima, e dell’AgenSud, poi, a tutto beneficio delle industrie del Nord con finanziamenti rimasti (per il 75%) o sulla carta o destinati a imprese del Nord. Altrettanto interessante sarebbe uno studio per accertare quali siano i costi reali della Cassa Integrazione (destinata quasi esclusivamente ad aziende del Nord) o quanti e quali interessi a Nord sono stati favoriti nel recentissimo scandalo rifiuti (magari con aziende costruttrici di inceneritori o che avrebbero dovuto gestire tutto il ciclo e con sedi legali abbastanza lontane da Napoli…) o altri studi per accertare quante aziende altrettanto nordiche hanno gestito e gestiscono gli appalti della mitica Salerno-Reggio Calabria o delle catastrofiche sanità meridionali (dalle apparecchiature ospedaliere alle gestioni bancario-finanziarie) fino ad arrivare ai recentissimi fondi FAS e CIPE (dirottati ancora a Nord). In quanto all’unificazione italiana (che, dopo 150 anni, avremmo il dovere comunque di celebrare con più verità storica e meno retorica), solo pochi dati: dei 668  milioni di lire depositati sui banchi di tutta l’Italia, 443 erano presso i banchi dell’ex Regno delle Due Sicilie: questa cifra, associata al denaro circolante e magari alle successive rimesse dei nostri emigranti, sarebbe di gran lunga superiore ai mille miliardi di euro correnti. Troppo facile liquidare i conti della storia unitaria nel nome degli interessi attuali e personali ignorando perché si è arrivati a questa situazione. Senza approfondire il dato degli occupati nelle industrie (superiore a quello delle altre regioni italiane), “non esisteva, in sintesi, all’Unità d’Italia, una reale differenza Nord-Sud in termini di prodotto pro capite”, come dimostrano inoppugnabilmente alcune recenti ricerche del CNR (V. Daniele e P. Malanima, 2007). E a questo avremmo il dovere di aggiungere i danni derivati dalle centinaia di migliaia di vittime causate dalla cosiddetta “guerra del brigantaggio” e quelli di un’emigrazione prima sconosciuta e che coinvolse (solo tra il 1870 e il 1913) oltre 5 milioni di meridionali con conseguenze devastanti sia sotto il profilo economico che sociale. Una “ventilata Lega del Sud”, secondo Panebianco, non avrebbe basi se non in questa fantomatica “teoria del risarcimento”: e se invece le trovasse, prima o poi, nelle ragioni di una storia e di un orgoglio ritrovati o nel diritto (dopo un secolo e mezzo) a pari condizioni tra Sud e Nord? Oppure i meridionali dovrebbero rassegnarsi per sempre a “quell’asimmetria per cui il Nord ha le carte migliori”? E gli esempi slovacco-brasiliani (uniti) potrebbero davvero essere utili: se il Nord continuerà a tirare troppo la corda potrebbe essere il Sud (magari fra 10-15 anni e terminati i conti unitari) a lasciare il Nord al suo destino. D’altronde dalle nostre parti potremmo permetterci anche il lusso, in virtù di ipotetiche secessioni (mai reclamate finora), di rischiare quel temuto “declassamento tra gli Stati europei” visto che il Sud è declassato da così tanto tempo… Con il diritto e il dovere (ovvio) di nuove classi dirigenti non più subalterne al Nord ma realmente meridionali, fiere e radicate e in grado magari (altro che finti “federalismi fiscali”) di affidare gli appalti della Salerno-Reggio unicamente ad aziende locali o magari coreane, in grado di comprare i suoi pullman di linea in Spagna o in Cina e con la possibilità (magari già da ora) di evitare di acquistare prodotti settentrionali negli scaffali dei supermercati, di fronte ad offese e a minacce che si ripetono a tutti i livelli e con una frequenza ormai sistematica.  

Prof. Gennaro De Crescenzo- Parlamento delle Due Sicilie